di Mauro Maestrini
Tratto da "Il Corriere del Ticino" del 16.12.2006
Sembra esserci davvero un segno del destino nelle circostanze della drammatica scomparsa di Clay Regazzoni. Il campione ha perso la vita al volante di un’automobile – lo strumento del suo lavoro, la sua ragione di vita – ed a pochi chilometri di distanza da Maranello, dove ha sede la scuderia Ferrari che gli consentì di cogliere, nella prima metà degli anni settanta, i principali successi della sua carriera sportiva, regalandogli una straordinaria notorietà internazionale, rimasta intatta anche dopo molti anni dalla sua uscita dal mondo della formula uno.
In un qualsiasi referendum di popolarità, indetto in qualunque posto del mondo,
Regazzoni si classificherebbe ancora oggi ai primissimi posti, accanto ai grandi
della formula uno della sua epoca, da Niki Lauda a Graham Hill, dal mitico Jim Clark
a Jackie Stewart, da Emerson Fittipaldi ad Alan Prost.
Eppure Clay ha vinto
di meno, rispetto a costoro: una mezza dozzina di gran premi e mai un titolo mondiale,
soltanto sfiorato in un’occasione (1974: secondo dietro a Fittipaldi).
Pochi
campioni del volante hanno però saputo infiammare, meglio di lui, gli animi degli
appassionati di automobilismo. Per doti innate di combattività che lo facevano
assomigliare ai grandi campioni del passato, come Tazio Nuvolari o Juan Manuel Fangio.
Per la capacità di sprigionare una simpatia un po’ guascona, da moschettiere, che
gli valse tra l’altro la particolare benevolenza di Enzo Ferrari, uomo notoriamente
refrattario ai palesi sentimentalismi.
E probabilmente anche per la sincerità, ai limiti della ruvidezza, del suo carattere, che lo faceva in questo assomigliare ad un altro grande campione dello sport amatissimo dal pubblico, Gino Bartali. Come il ciclismo per il toscanaccio, anche la formula uno per Regazzoni era sempre tutta sbagliata e tutta da rifare, i piloti sopraffatti da un’invadente tecnologia, che ne avviliva il talento, e l’ambiente dell’automobilismo sportivo in generale e della formula uno in particolare sempre più dominato dagli sponsor commerciali e dai soldi e meno permeato da autentica passione sportiva.
In realtà Regazzoni è stato un abilissimo frequentatore di questo mondo,
fra i principali traghettatori dello sport motoristico da un’epoca tutto sommato
ancora pionieristica e romantica all’attuale business miliardario e fra i primi
addetti ai lavori ad intuire, con una spontaneità che gli rende ancora maggiore
merito, l’importanza e l’efficacia della comunicazione mediatica nel mondo dello
sport.
Certo, il prezzo pagato è stato pure altissimo, con una serie di incidenti
drammatici e spettacolari (da un’uscita di pista ad Indianapolis a 300 all’ora,
ad un rogo in macchina a Kyalami in Sudafrica, da un’imbucata sotto un guardrail
a Montecarlo all’urto contro alcuni blocchi di cemento a Long Beach, negli
Stati Uniti, che lo costrinse alla sedia a rotelle) che hanno segnato la sua carriera
sportiva e la sua esistenza.
Senza tuttavia mai allontanarlo neppure per un
giorno dai suoi grandi amori: le macchine e le corse. Anche l’ultima
pennellata di questo grande affresco di vita è coerente con tutte le precedenti
e consegna definitivamente Clay Regazzoni all’olimpo dei grandi.